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LADY HENDERSON PRESENTA
(MRS. HENDERSON PRESENTS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 gennaio 2006
 
di Stephen Frears, con Judi Dench, Bob Hoskins, Kelly Reilly, Will Young, Christopher Guest (Gran Bretagna, 2005)
 
Stephen Frears è un regista che merita più che rispetto. Testimone dell'audacia sovversiva negli anni Ottanta su dei temi come l'immigrazione, la promiscuità razziale o l'omosessualita di MY BEAUTUFUL LAUNDRETTE, PRICK UP YOUR EARS o SAMMY AND ROSIE GET LAID, di una delle più sontuose riflessioni sulla decadenza che il cinema ci abbia offerto (LE RELAZIONI PERICOLOSE), di un capolavoro della commedia privata e sociale troppo spesso dimenticato in fondo ai cassetti come THE SNAPPER. Non è facile tenere su quei livelli; anche per gente come i suoi illustri compatrioti Mike Leigh e Ken Loach che in quei tempi giravano THE NAKED o RAINING STONES. I nostri, di tempi, esigono cambiamenti, anche ai più illustri: cosi, se nel 2000 a Frears riesce di mettere in scena la musica di Elton John, Bruce Springsteen, Barry White, Lou Reed, Stevie Wonder, Marvin Gaye nel gradevolissimo HIGH FIDELITY, subito ritorna al sociale di un tema come quello della tratta degli organi di DIRTY PRETTY THINGS, assai più laborioso per aver pasticciato tra l'horror e il poliziesco.

Sempre sociale (ma vogliamo dire sui toni della commedia musicale?) questo LADY HENDERSON PRESENTA. Perché, della storia di una ricchissima aristocratica che, ritrovatasi vedova sulla settantina e non sapendo dove dirigere la propria intatta voglia di vivere decide di acquistare il mitico Windmill Theater a Soho, per farlo evolvere dal permissivo vaudeville al nudo (immobile!, per sottrarsi alla pruderie del Lord Chamberlain) a Frears interessano altre cose che non siano le simpatiche coreografie di allora. Piuttosto, inserirlo nell'epoca, che dalla Londra della disoccupazione e dei rigori morali scivola nell'orrore dei blitz nazisti, delle lacrime, sangue e sudore di Churchill al the show must go on con i soldatini in attesa di ritornare al fronte che sospirano all'uscita delle girls (prima fra tutte la splendida Kelly Reilly).

Due mostri sacri come Judi Dench e Bob Hoskins assicurano non soltanto acrobazie recitative di alto (ed un filo accademico) livello. Ma s'incaricano di elevare l'elegante ricreazione ad una riflessione sull'assurdità della guerra: specie se confrontata a quella sull'esposizione delle tette. Qui l'operazione si fa più ardua (ed il confronto con quella ben altrimenti esaltante del Mike Leigh di TOPSY-TURVY ne è la conferma più evidente): perché se al film va riconosciuta la dignità e la gradevolezza assicurata dai suoi raffinati collaboratori, una sceneggiatura non proprio in crescendo, un approfondimento delle psicologie alquanto spiccio finisce per stemperare gran parte della determinazione della vedova che troverà le parole giuste per rincuorare i militi. E mutare il fervore nazionalistico e la delicata nostalgia del film in un rispettabile, assai meno stimolante sentimentalismo.


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